
Se sei tra il 91,8% che non usa l’AI, sei ancora in tempo. Ma non per molto.
Solo l’8,2% delle aziende italiane ha iniziato a usare l’AI. Un numero piccolo che racconta molto: di paure, ritardi… e di grandi opportunità da cogliere ora.
L’Italia e l’AI: a che punto siamo davvero?
Secondo i dati ISTAT 2024, appena l’8,2% delle aziende italiane con più di 10 dipendenti utilizza tecnologie basate sull’intelligenza artificiale. Questo significa che il 91,8% delle imprese è ancora ferma. Non per mancanza di strumenti – oggi più che mai accessibili – ma per mancanza di visione, cultura e coraggio.
Molti si consolano pensando: “C’è tempo.” Ma la storia recente insegna che, nel digitale, chi parte tardi corre con il fiatone. Arriva in ritardo, paga di più e spesso si affida a soluzioni già confezionate che non riesce nemmeno a comprendere fino in fondo.
Usare l’AI non significa automaticamente essere migliori. Ma indica una predisposizione al cambiamento, una capacità di vedere le trasformazioni prima che diventino obbligo. E questo oggi è un vantaggio competitivo. Chi ha iniziato a esplorare e sperimentare, ha già un piede nel futuro.
La finestra è aperta, ma non resterà aperta a lungo
Oggi siamo in una fase di "pionierato diffuso": l’AI è conosciuta da molti, ma compresa e integrata da pochi.
Questo crea uno spazio nel mercato che non resterà vuoto. Prima o poi sarà colmato – da chi avrà la capacità di mettersi in gioco.
Chi si muove ora, ha davanti un raro lusso: può sperimentare (scopri la mia rubrica UN TOOL di A.I. alla SETTIMANA su Linkedin). Può sbagliare senza grandi conseguenze. Può prendersi il tempo di costruire una cultura aziendale intorno all’AI, formare persone, disegnare processi, capire cosa funziona davvero.
Tra qualche anno, questo lusso sarà finito. L’AI diventerà uno standard – e chi sarà rimasto indietro dovrà rincorrere: comprerà software che non capisce, adotterà agenti AI senza saperli personalizzare, copierà processi senza adattarli al proprio contesto.
È un copione già visto con i social media, con l’e-commerce, con la digitalizzazione dei documenti. Ma qui è tutto più veloce.
L’AI è ancora al suo 1%. Ma non ci resterà per molto.
Innovare con etica e visione umana
Il mio lavoro con l’AI non è solo tecnico. È culturale.
Formare persone, costruire agenti, automatizzare processi… sì. Ma prima di tutto, coltivare consapevolezza. Non dobbiamo farci usare dalla tecnologia: dobbiamo imparare a usarla. Con rispetto per chi siamo.
L’AI non è nemica dell’uomo, se l’uomo resta al centro. Non è il contrario dell’umanità, se sappiamo infonderle valori, scelte consapevoli, limiti.
Come formatore, consulente e sperimentatore, mi capita spesso di vedere occhi accendersi: non per una demo tecnica, ma per una possibilità.
La possibilità di avere più tempo, più ordine, più margine per fare bene le cose che contano.
Perché se l’AI può scrivere un’email, tradurre un testo, analizzare dati, può anche liberare energia umana da reinvestire dove serve davvero: nella relazione, nella creatività, nella strategia.
Il futuro è aperto. Ma non sarà inclusivo se continuiamo a delegare tutto all’esterno.
Dobbiamo costruirlo da dentro: con metodo, cultura e persone che sanno dove vogliono andare. Ecco perché oggi serve formazione. Serve una guida. Serve una visione.
C’è ancora tempo per posizionarsi tra chi guiderà il cambiamento.
E no, non è questione di budget o tecnologia. È una questione di intenzione.
Essere migliori del 91,8% delle aziende italiane oggi… è più semplice di quanto sembri.
Ma domani potrebbe essere troppo tardi.