
Così l’intelligenza artificiale ci pagherà la pensione
L’intelligenza artificiale sta cambiando l’economia. Ma se guidata con visione, potrebbe diventare il motore che sostiene il nostro benessere futuro. Anche quello… previdenziale.
Lavorare meno, lavorare meglio
Immagina un mondo in cui le macchine fanno per noi una parte del lavoro. Un sogno, certo. Ma anche una necessità. Con la popolazione che invecchia e i giovani che scarseggiano, l’idea che “qualcuno” debba pagare le pensioni è tutt’altro che scontata.
In Italia, il sistema previdenziale si basa su un principio semplice ma fragile: i lavoratori attivi finanziano le pensioni di chi è in quiescenza. Ma se i lavoratori calano, chi sosterrà il sistema? In questo scenario, l’AI può essere una risorsa non solo per aumentare la produttività, ma per generare nuova ricchezza. Un’AI che automatizza, assiste, accelera. Che ci libera dal lavoro ripetitivo e apre spazi per l’umanità, la creatività, la strategia.
Non si tratta di fare lavorare le macchine al posto nostro. Ma con noi. Una sinergia in cui l’AI diventa un “lavoratore aumentato”, capace di moltiplicare il valore prodotto, e quindi anche le entrate fiscali e contributive. In una parola: sostenibilità.
La ricchezza generata dall’AI non basta: serve visione
Uno degli errori più comuni è pensare che basti avere un’AI per generare valore. Ma il punto non è solo “quanto” lavora una macchina, è “per chi” lavora. Se l’AI è nelle mani di poche multinazionali che pagano poche tasse nei paesi in cui operano, quella ricchezza non entra nel circuito del welfare.
È qui che entra in gioco la strategia. Serve una politica economica e fiscale capace di guidare questo cambiamento. Serve consapevolezza nelle imprese. E serve cultura digitale. Non possiamo pensare di tassare l’AI, ma possiamo e dobbiamo favorire modelli in cui l’automazione libera tempo e risorse, e questi vengono redistribuiti per migliorare la qualità della vita di tutti.
Pensiamo, ad esempio, al modo in cui l’AI può migliorare la sanità, l’istruzione, la pubblica amministrazione. Se usata bene, può ridurre costi e inefficienze, aumentando i servizi. Ma tutto questo accade solo se c’è un’idea forte alla base. Altrimenti rischiamo di avere più disoccupazione e più disuguaglianze.
Un'AI umana per un futuro più equo
Io credo profondamente che l’AI debba essere una tecnologia al servizio dell’uomo. E non il contrario. Ma per farlo serve più di un algoritmo. Serve etica. Serve visione. Serve partecipazione.
Nel mio lavoro, quando formo le aziende o progetto soluzioni di AI strategica, non parlo mai solo di tool. Parlo di scelte. Di responsabilità. Di opportunità che possono rendere il lavoro più umano. E, sì, anche più sostenibile per la collettività. Perché se l’AI aumenta i margini, ma lascia le persone fuori dal gioco, abbiamo perso.
Così, forse, se guideremo questo cambiamento con coraggio e intelligenza, potremo davvero dirlo: l’AI ci pagherà la pensione. Non perché farà tutto lei, ma perché ci avrà insegnato a lavorare meglio, vivere meglio, e costruire un sistema più giusto. Un sistema in cui ciascuno dà il proprio contributo — umano o artificiale — a un futuro più condiviso.