Cosa ci insegna davvero lo spettacolo di Monty
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Cosa ci insegna davvero lo spettacolo di Monty

10/20/2025

Tra una risata e un applauso, Monty ci mette davanti a un fatto semplice: la tecnologia non è il problema. Il problema è come scegliamo di viverla.

La tecnologia non ci sta rubando niente

Quando Monty lancia il “cuscino del Montinauta” in mezzo al pubblico, non è solo un gioco. È un gesto simbolico: invita a partecipare. È come dire — “questa rivoluzione non si guarda, si vive”.
Molti temono che l’AI ci tolga il lavoro. In realtà, quello che toglie è la possibilità di restare distratti. La differenza tra chi resterà indietro e chi evolverà non è nella conoscenza dei tool, ma nella curiosità.
Lo spettacolo lo mostra bene: la pigrizia, l’automatismo, l’illusione dei social sono trappole psicologiche prima che tecnologiche. Monty non parla da tecnico, ma da uomo curioso. Non dice “studiate l’AI”, dice “studiatevi mentre la usate”.
Ed è un punto cruciale. Perché la paura del cambiamento nasce quasi sempre da un’eccessiva abitudine alla comodità. L’AI non è un pericolo se impariamo a usarla per ciò che conta: pensare meglio, non solo più in fretta.

Umani, non utenti

Montemagno alterna risate e riflessioni. Passa da un robot umanoide al racconto di un uomo che non chiude lo sportello dell’asciugatrice. È autoironia, ma anche diagnosi: siamo diventati deleganti.
C’è una frase che riassume tutto: “Io sono team humanity.”
La dice sul palco quando racconta che ChatGPT, anziché diventare un amico virtuale, dovrebbe spingerci a uscire di casa e farne di veri. È il passaggio più umano dello show, quello in cui si capisce che la tecnologia non sostituisce l’empatia, ma la rivela.
Siamo noi, non gli algoritmi, a scegliere se l’AI sarà uno specchio o una maschera.
E in questo senso lo spettacolo è quasi una lezione di educazione emotiva: ci ricorda che l’intelligenza artificiale non è un’entità, ma una cultura. È il modo in cui decidiamo di usarla per amplificare le nostre capacità — o per nascondere le nostre paure.

Riflettiamoci: ogni volta che chiediamo a ChatGPT di “pensare al posto nostro”, in realtà stiamo chiedendo di non dover scegliere. Ecco la vera sfida etica. Non temere che l’AI diventi più intelligente, ma temere di diventare meno presenti.

Reinventarsi è una forma d’amore

Quando Monty racconta dei ragazzi che si inventano lavori assurdi — chi affitta galline, chi cammina per compagnia — non lo fa per ridere, ma per dire che l’innovazione nasce dal gioco.
Reinventarsi non è cambiare mestiere, ma cambiare sguardo.
È ciò che accade quando smetti di dire “non fa per me” e inizi a chiederti “come potrei usarlo io?”. È l’atteggiamento dei napoletani di cui parla Monty: flessibilità, ironia, capacità di trovare un varco dove altri vedono un muro.

Questa è la vera lezione: in un mondo che cambia ogni mese, il futuro appartiene a chi riesce a restare leggero.
Non leggero nel senso superficiale, ma nel senso di Italo Calvino: “Prendere la vita con leggerezza, che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto.”
L’AI, la robotica, l’automazione — tutto questo non è un attacco al lavoro umano, è un invito a riscoprire il senso di ciò che facciamo.
Monty ci ricorda che la paura, se usata bene, è un motore. È la spinta a studiare, a sperimentare, a restare vivi dentro il cambiamento.
Non serve essere programmatori, serve essere curiosi.
Perché chi sceglie di imparare oggi non sarà sostituito domani.