Siamo ancora umani o siamo diventati cyborg inconsapevoli?
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Siamo ancora umani o siamo diventati cyborg inconsapevoli?

5/30/2025

La profezia di McLuhan si è avverata: non controlliamo più la tecnologia, ma rischiamo di esserne controllati.

L'inversione del controllo

Negli anni '60, Marshall McLuhan aveva già intuito quello che oggi viviamo quotidianamente.

La sua celebre affermazione sulla tecnologia come estensione dell'uomo ha assunto una dimensione quasi profetica. Osserviamo i nostri comportamenti:

- quante volte controlliamo lo smartphone in una giornata?

- quanto tempo passiamo immersi in schermi di varie dimensioni?

Il punto critico non è la tecnologia in sé, ma il momento in cui perdiamo la consapevolezza del nostro rapporto con essa. Quando il nostro polso accelera per una notifica non letta, quando proviamo ansia se dimentichiamo il telefono a casa, quando la nostra autostima dipende dai like ricevuti, allora forse abbiamo oltrepassato quella linea sottile che separa l'uso dall'essere usati.

Le aziende tecnologiche hanno investito miliardi per studiare i meccanismi della nostra attenzione. Hanno trasformato la dopamina in un business model, creando prodotti che stimolano continuamente il nostro sistema di ricompense.

Non è un caso se i social network utilizzano gli stessi principi psicologici delle slot machine: colori vivaci, rinforzi intermittenti, gratificazione immediata.

La dimensione umana nell'era digitale

Dietro ogni schermo c'è una persona con sogni, paure, speranze. Dietro ogni profilo social c'è un'anima che cerca connessione autentica. Il paradosso del nostro tempo è che siamo più connessi che mai, eppure molti si sentono profondamente soli.

I dati parlano chiaro: depressione e ansia sono aumentate drammaticamente tra i giovani, proprio mentre cresceva l'uso dei social media.

Ma questo non significa che la tecnologia sia intrinsecamente cattiva. Come ogni strumento potente, il suo valore dipende da come la utilizziamo. La stessa tecnologia che può isolarci può anche permettere a un nonno di vedere crescere i nipoti dall'altra parte del mondo, a uno studente di accedere ai migliori corsi universitari, a un artista di condividere la sua creatività con milioni di persone.

Il punto è mantenere la nostra umanità al centro. Ricordare che siamo esseri biologici che hanno bisogno di contatto fisico, di conversazioni profonde, di momenti di silenzio e riflessione. La tecnologia dovrebbe amplificare queste caratteristiche umane, non sostituirle.

Verso una tecnologia più umana

La sfida del futuro non è rinunciare alla tecnologia, ma riprenderne il controllo consapevole. Questo significa fare scelte deliberate su quando, come e perché utilizzare i dispositivi digitali. Significa creare spazi di disconnessione per riconnetterci con noi stessi e con gli altri.

Alcune aziende stanno già muovendo i primi passi in questa direzione. Nascono app per il digital detox, funzioni per limitare il tempo di utilizzo, design più attenti al benessere mentale degli utenti. Ma la responsabilità non può essere solo delle aziende: tocca a noi, come individui e come società, definire il tipo di relazione che vogliamo avere con la tecnologia.

Forse la vera rivoluzione digitale non sta nell'inventare nuovi gadget, ma nel recuperare la nostra capacità di scegliere. Di dire no quando serve, di spegnere quando è necessario, di privilegiare l'esperienza diretta rispetto a quella mediata. Di ricordare che la tecnologia, per quanto sofisticata, non può sostituire un abbraccio, una risata condivisa, il silenzio complice tra due amici.

L'obiettivo non è tornare al passato, ma costruire un futuro in cui tecnologia e umanità si completino senza che una delle due prevalga sull'altra. Un futuro in cui siamo noi a decidere quando essere estensione della tecnologia e quando, invece, far sì che sia lei a essere estensione di noi.