
Quando l’allievo supera il maestro: e se fosse l’AI a farlo?
Uno studio prevede che entro il 2027 l’intelligenza artificiale supererà quella umana. Cosa dice questo scenario del nostro tempo e della nostra umanità?
Il sorpasso dell’intelligenza: un punto di non ritorno?
Secondo quanto riportato da Il Sole 24 Ore in un recente articolo, un gruppo di ex ricercatori di OpenAI ha lanciato un segnale importante: l’intelligenza artificiale, entro il 2027, potrebbe superare l’intelligenza umana nella maggior parte dei compiti cognitivi. Non si tratta più di fantascienza o di previsioni futuristiche, ma di una traiettoria che appare sempre più concreta.
La fonte di questa previsione è uno studio del progetto Apollo Research, che evidenzia come l’attuale progresso dell’intelligenza artificiale stia avanzando con un’accelerazione esponenziale. Se consideriamo che negli ultimi dodici mesi i modelli linguistici generativi (come ChatGPT, Gemini e Claude) hanno dimostrato capacità sorprendenti, possiamo immaginare dove saremo fra due anni.
Ma al di là del dato tecnico, c’è una domanda che ci riguarda tutti: cosa succede a noi, agli esseri umani, quando la nostra intelligenza non sarà più quella dominante? È davvero solo un discorso di competenze, o entra in gioco qualcosa di più profondo, legato alla nostra identità e al nostro ruolo nel mondo?
La coscienza non si calcola: un’anima al di là dei dati
L’intelligenza artificiale può scrivere poesie, rispondere a quesiti complessi, diagnosticare malattie.
Ma può provare empatia?
Può percepire la bellezza di un tramonto, o la fatica silenziosa di un genitore che si sveglia per la quarta volta nella notte per calmare il proprio bambino?
Noi esseri umani siamo molto più dei nostri pensieri logici. Siamo emozione, memoria, fragilità, intuizione. L’intelligenza umana è legata al corpo, alla storia, alla relazione. È fatta di pause, di esitazioni, di incoerenze. È imperfetta, e forse proprio per questo è straordinaria.
Nel mio lavoro nel mondo digitale – dove gli algoritmi e i dati guidano scelte e strategie – vedo ogni giorno quanto sia importante tenere vivo il lato umano. I numeri ci aiutano, ma non raccontano tutto. Le intuizioni più forti nascono spesso da una domanda che “sente” prima di “capire”.
Credo che l’AI sarà una compagna formidabile, un’estensione delle nostre capacità. Ma non potrà (e forse non dovrà) sostituire il nostro sguardo interiore, la nostra capacità di ascoltare e sentire. La coscienza non è un algoritmo, è un’esperienza.
Tecnologia e umanità: un equilibrio da riscrivere ogni giorno
La previsione che l’AI supererà l’intelligenza umana entro il 2027 è, in fondo, uno specchio più che una condanna.
Riflette il nostro bisogno di efficienza, la fame di soluzioni rapide, la delega crescente alle macchine. Ma ci chiede anche: quale spazio vogliamo lasciare all’uomo?
Viviamo un’epoca straordinaria, in cui possiamo fare tutto, ma in cui spesso rischiamo di non sentirci più parte di niente. La velocità ci seduce, ma può anche confonderci. In questo contesto, credo che le domande più importanti non siano tecnologiche, ma esistenziali: chi voglio essere? Cosa mi rende davvero vivo?
Nel digitale – così come nella vita – credo che serva equilibrio. Usare la tecnologia, sì, ma con radici forti. Non per sostituire l’umano, ma per amplificare ciò che ha valore: la cura, la relazione, il senso. L’intelligenza artificiale non deve spaventarci, ma deve spingerci ad essere ancora più umani.
Forse, alla fine, la vera sfida non sarà superare l’intelligenza dell’AI. Ma coltivare quella parte di noi che nessuna macchina potrà mai replicare.