Il problema non è la tecnologia. Siamo noi che non abbiamo tempo per capirla.
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Il problema non è la tecnologia. Siamo noi che non abbiamo tempo per capirla.

11/10/2025

L’intelligenza artificiale non ci sta rubando il tempo. Ci sta solo chiedendo di imparare di nuovo come usarlo.

Gestire la velocità, non subirla

Viviamo in un’epoca in cui la velocità delle tecnologie cresce più in fretta della nostra capacità di comprenderle. Ogni giorno ci abituiamo a strumenti nuovi, ma fatichiamo a capire il loro impatto. Luciano Floridi, filosofo dell’etica digitale, lo spiega con lucidità: “Sentirsi privi di equilibrio è normale. È tutta la società ad essere in accelerazione.”

Il primo passo è riconoscerlo. Accettare che questa sensazione di instabilità è condivisa, non individuale. Poi arriva la scelta: usare la velocità contro la velocità.
Le tecnologie ci permettono di risparmiare tempo, ma spesso lo reinvestiamo per lavorare ancora di più. Invece dovremmo usarne una parte per riflettere, studiare, o semplicemente respirare. È un gesto rivoluzionario: non lasciare che l’efficienza diventi un fine in sé.

Essere padroni del proprio tempo significa scegliere quando fermarsi, non solo quando accelerare. È qui che si gioca la vera competenza digitale.

Delegare il superfluo per liberare la mente

Fonte: Intervista di Raffaele Gaito a Luciano Floridi, “Il futuro che ci aspetta è entusiasmante”.

Floridi definisce l’intelligenza artificiale come “una reazione post-industriale alla saturazione dei compiti umani”. Abbiamo caricato l’individuo di troppe attività (fare la spesa, compilare moduli, rispondere a email) e ora possiamo finalmente delegarne una parte. Non è solo comodità: è una forma di liberazione.

Usare l’AI per eliminare le seccature quotidiane non significa rinunciare al controllo, ma recuperarlo. Ogni azione che possiamo automatizzare ci restituisce tempo per pensare, creare o vivere.
Il rischio è l’avidità: usare il tempo guadagnato per fare ancora di più, invece che meglio. Chi impara a delegare senza perdersi, a usare la macchina senza farsi usare, sarà davvero “dalla parte vincente”, dice Floridi.

Quindi, non è quanto l’intelligenza artificiale possa fare al posto nostro, ma cosa scegliamo di fare noi con ciò che ci resta.

Tornare artigiani del pensiero

La parte più affascinante arriva quando Floridi racconta il suo esperimento con il distant writing: un libro interamente scritto con l’aiuto dell’intelligenza artificiale, poi pubblicato dalla Columbia University Press.
L’esperimento apre una domanda radicale: se un testo è scritto da una macchina, perde valore?

La risposta non è tecnica, ma umana.
Il valore di un’opera non sta solo nel risultato, ma nel processo, nell’intenzione, nel tempo dedicato. Come una torta fatta a mano, un testo scritto da una persona conserva qualcosa di irripetibile: l’esperienza di chi l’ha creato.

Floridi parla di un futuro in cui convivranno due forme di scrittura: quella “industriale”, prodotta su richiesta, e quella “artigianale”, nata da una scelta intima e deliberata. Sarà il lettore a decidere quale preferire, come oggi sceglie tra una pizza surgelata e una fatta in casa.

E forse questo è il senso profondo dell’innovazione: non sostituire l’uomo, ma costringerlo a chiedersi cosa lo rende davvero umano.

Il futuro che ci aspetta non è una minaccia, è un’occasione. Ma solo se torniamo a guardare la tecnologia con lo sguardo curioso di un bambino che scopre la barchetta sul lago, non con la paura dell’adulto che teme di perdere il controllo.
Perché, come ricorda Floridi nell’intervista a Gaito, la vera differenza non è tra umano e artificiale, ma tra chi usa il tempo per vivere e chi lo lascia scorrere via.