
Le metriche dell’AI non bastano per capire davvero cosa conta
Contare token o utenti settimanali non ci aiuta a capire davvero l’impatto dell’AI. Forse dovremmo cominciare a misurare cose diverse: relazioni, cambiamento, tempo liberato.
L’illusione del numero giusto
Viviamo in un mondo dove tutto si misura. E questo, in parte, è un bene. Ma quando parliamo di intelligenza artificiale generativa, ci stiamo forse affidando alle metriche sbagliate.
Nel report di Benedict Evans, si solleva un dubbio cruciale: ha senso valutare l’adozione dell’AI sulla base di quanti token vengono generati o di quanti utenti la usano una volta a settimana? È un po’ come giudicare il successo di un libro contando quante volte viene aperto, senza sapere se è stato letto davvero.
WAU (Weekly Active Users), token generati, tempo di risposta… sono numeri comodi, ma non ci raccontano l’esperienza. Non ci dicono se quell’AI è diventata davvero parte della vita quotidiana delle persone, se ha risolto un problema reale, se ha liberato tempo, se ha cambiato un processo o un pensiero.
Troppe aziende cercano nella metrica il conforto che dovrebbe venire dal significato. E così corriamo il rischio di confondere “utilizzo” con “impatto”.
Il valore dell’invisibile
Quando il web ha preso piede, non erano solo i click a contare: era la trasformazione culturale che portava con sé. Lo stesso vale per l’AI.
Oggi siamo circondati da assistenti intelligenti, chatbot, generatori di testo e immagini, ma gran parte del loro impatto è invisibile: sono dentro email, nei suggerimenti degli e-commerce, nei processi aziendali. E allora, come misuri un cambiamento che si nasconde nell’abitudine?
Un sistema AI che riduce del 30% i tempi di lavoro di un reparto HR, o che permette a un team creativo di fare brainstorming in modo nuovo, può avere un impatto enorme… anche se genera pochi token o non compare in nessun report.
Le metriche classiche non bastano più. Serve guardare oltre: quanto tempo libera? Quanto migliora la qualità della vita lavorativa? Quanto stimola la riflessione? Quanto trasforma la relazione tra le persone e il lavoro?
Queste domande non trovano risposte nei cruscotti di analytics. Ma sono le uniche che contano davvero.
Etica, scelte e nuove domande
Da professionista del marketing e della tecnologia, sono circondato da numeri ogni giorno. Ma da essere umano, sento il bisogno di una nuova bussola: non solo efficienza, ma senso. Non solo performance, ma impatto sulla vita delle persone.
Se l’intelligenza artificiale deve diventare una tecnologia trasformativa, dobbiamo chiederci: cosa vogliamo che migliori nella nostra vita? Perché alla fine, il vero valore non sta nei token generati, ma nel tempo restituito. Nella possibilità di concentrarci su ciò che davvero conta.
Serve un cambio di paradigma: dalle metriche di quantità a quelle di profondità. Forse l’AI più utile sarà quella di cui non ci accorgiamo, ma che ci permette di essere più umani.
E allora smettiamo di contare i numeri e iniziamo a raccontare le storie. Perché è lì, nel racconto, nella relazione, nel dubbio, che si misura davvero l’intelligenza: quella delle macchine, ma soprattutto la nostra.